giovedì 12 febbraio 2009

DAL CAMPO DI RENICCI

Ti scrivo amore mio
Con un pezzo di carbone
Salvato da questo fango
Di questa prigione.
Mi hanno portato via
Dopo la loro invasione
Colpevole di resistenza
Perché non voglio un padrone.

E i compagni stanno morendo
Abbandonati in questa grande terra
Dove si parla italiano e non capisco
Cosa abbia fatto di male
Grande come la mia paura
Quella di non rivedere un giorno i miei figli
O i tuoi capelli da accarezzare.
Lontano dalla mia Lubiana
Non sento le onde cantare
L'odore del mare Adriatico
E i pescatori chiamare.

I soldi che mi hai mandato
Nascosti nei gusci di noce
Incollati come il mio destino
Alla canna del mio carceriere.
E i compagni che stanno morendo
Lasciati in questa grande terra
Vicino al fiume lento che scorre giù a Roma
Lento come il passare del tempo
Di questo tempo che semina odio
Che nessun vento saprà mai spazzare
Non ci saranno giorni per continuare.

Ti scrivo amore mio
Non mi dimenticare
Se volerò nel vento
Potrò anche ritornare.

Il campo di Renicci di Anghiari è un non luogo. Uno di quei posti dimenticati dalla storia ufficiale perché scomodo, Noi lo ricordiamo nei giorni in cui i mai pentiti nipoti di una storia terribile ricordano le vittime delle foibe, senza ricordare il perché di quella tragedia e le stragi e le oppressioni fasciste nella ex jugoslavia (Slovenia in particolare)

Il campo di concentramento di Renicci di Anghiari, nella frazione di Motina in provincia di Arezzo fu ufficialmente costituito nell’ottobre 1943 per ospitare internati slavi, per lo più deportati dalla Slovenia e dalla Croazia, raccolti qualche mese dopo l’invasione di tali regioni da parte delle truppe italiane. Esso restò in funzione fino al settembre 1943, quando la notizia dell’armistizio fece fuggire gli uomini di guardia, e dopo di essi, i prigionieri. Dell’esistenza del campo, che tra quelli costruiti in Italia durante il regime fascista, si distinse per la gravità delle condizioni di vita e l’alta mortalità degli internati, sono rimaste pochissime tracce. Tra le quali uno studio di cura di Stefania Berizzi, Simone Duranti, Valeria Galimi e Valentina Piattelli.

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