Manca poco alla manifestazione promossa dalla FIOM per il 18
febbraio. Dovremo usare questi ultimi giorni per far crescere le
adesioni, spiegare, “contagiare”, promuovere la partecipazione. Perché
la manifestazione dell’18 febbraio è molte cose assieme e tutte sono
decisive.
PER LA DEMOCRAZIA
E’ in primo luogo la
manifestazione che denuncia lo sfregio della democrazia che si sta
compiendo. Lo abbiamo scritto e detto. Dovremo scriverlo e dirlo finchè a
quello sfregio non sarà posto rimedio. Contrastando ogni
minimizzazione, ogni “adattamento” persino inconsapevole.
Sta
accadendo qualcosa per cui non vale neppure il paragone con gli anni di
Valletta. Qualcosa che non era mai avvenuto nella storia del paese dopo
la fine del fascismo.
La Fiat ha fatto da apripista ad un modello che
Federmeccanica vuole estendere a tutte le imprese. Un modello che è
diventato addirittura il punto centrale del programma di Bombassei, il
più accreditato concorrente alla poltrona di prossimo presidente di
Confindustria.
In FIAT, le lavoratrici e i lavoratori non potranno
più eleggere i loro delegati. In Fiat, la FIOM cioè la più grande
organizzazione sindacale, non avrà più diritto di rappresentare le
lavoratrici e i lavoratori, indire assemblee, avere a disposizione
locali e permessi per l’attività sindacale, ricevere i contributi dei
propri iscritti. Questo avviene perché la FIOM ha rifiutato di firmare
il diktat di Marchionne. Un diktat che distrugge il contratto nazionale,
viola il diritto di sciopero, peggiora in maniera micidiale le
condizioni di lavoro. Che riduce le lavoratrici e i lavoratori a mere
braccia da impiegare dentro una fabbrica che si fa caserma. La Fiom ha
detto di no e “dunque” la Fiat ha deciso che la Fiom non deve esistere e
che da qui in avanti saranno le imprese a scegliersi il sindacato con
cui trattare.
Le immagini dell’espulsione della Fiom da Mirafiori con
i lavoratori che portano via i ritratti di Trentin e Berlinguer, dicono
più di mille parole. Si vuole chiudere una pagina di storia: quella del
sindacato che trae la propria legittimazione dalla rappresentanza
democratica delle lavoratrici e dei lavoratori, del sindacato che per
esercitare quel mandato contratta, confligge, costruisce un punto di
vista generale ed autonomo del lavoro in nome dei principi di
solidarietà ed uguaglianza. Quella soggettività organizzata va
eliminata, perché lavoratrici e lavoratori non siano che merce in
competizione tra loro.
A questo esito ha lavorato alacremente il
governo Berlusconi. Complice di Marchionne sia nella volontà di azzerare
la Fiom che nell’obiettivo di distruggere il contratto nazionale di
lavoro. Il governo Berlusconi è stato talmente solerte da varare come
uno dei suoi ultimi atti una norma mostruosa. Una norma per cui
attraverso la contrattazione aziendale o territoriale si può derogare
sia al contratto nazionale che all’insieme delle leggi esistenti a
tutela del lavoro. Assunzioni, mansioni e inquadramenti, orari e ritmi,
dispositivi di controllo sui lavoratori, rapporti a termine e
collaborazioni, licenziamenti: tutto viene sottoposto alla possibilità
di ricatto, su tutto può arretrare la tutela della legge. Non è
incredibile che non si discuta più di questo, della mostruosità
giuridica, democratica e civile dell’articolo 8 della manovra di agosto?
PER LA DIFESA DELL’ARTICOLO 18
Il governo Monti
ora sta andando avanti. Non una parola sulla cancellazione dai luoghi di
lavoro del più grande sindacato di categoria, non una parola
sull’articolo 8. Una nuovo attacco in corso invece. Quella per
l’ulteriore erosione delle residue garanzie del lavoro a colpi di
demolizione dell’articolo 18. Monti e Fornero non perdono occasione per
esternare. Tra una dichiarazione sulla “monotonia “ del posto fisso e le
reiterate affermazioni sui lavoratori “ipergarantiti”, continua
l’offensiva. Prima si è proposto l’innalzamento a 50 dipendenti della
soglia per cui non vale l’articolo 18, poi le molte varianti di
contratto di ingresso, ora in ballo è esclusione dalla protezione
dell’articolo 18 per i licenziamenti individuali per motivo economico.
Quello che si vuole è eliminare la possibilità che un giudice esamini se
questo o quel licenziamento è effettivamente determinato da reali
motivazioni economico-produttivo e possa disporre la reintegra se quelle
motivazioni non esistono. Eliminare la protezione dell’articolo 18
equivale a consentire che i licenziamenti che puntano a colpire
lavoratori impegnati nell’attività sindacale vengano camuffati da
licenziamenti per motivo economico. Ed è una variante su questa stessa
linea l’idea di assimilare i licenziamenti individuali per motivo
economico a quelli collettivi, proposta dalla Cisl e su cui si è
manifestata una significativa apertura da parte di autorevoli dirigenti
del PD. Nel caso di licenziamenti collettivi per motivi economici,
infatti il datore di lavoro è tenuto solo al rispetto di una serie di
criteri per l’individuazione dei lavoratori da licenziare. La
giurisprudenza prevalente interpreta il ruolo del giudice, pur non
escluso, come mera verifica del rispetto di questi criteri, e comunque
attribuisce un valore decisivo all’accordo sindacale nella gestione
delle crisi. Trasferire di fatto questo potere dei sindacati dalla
gestione delle crisi aziendali al licenziamento di un singolo
lavoratore, significa evidentemente aprire la porta a molti possibili
arbitrii. Non ci sono forse sindacati che considerano legittima
l’espulsione della Fiom dai luoghi di lavoro?
Le molte ipotesi
circolanti sull’articolo 18, l’esposizione che Monti e i suoi ministri
hanno avuto su questo tema, ci dicono che in via diretta o attraverso
diverse ipotesi di “aggiramento”, quello a cui si punta è una salto
decisivo della ricattabilità dentro i luoghi di lavoro e dell’attacco
alle libertà sindacali. Un tassello organico che si aggiunge alla mina
dell’articolo 8 e all’espulsione dai luoghi di lavoro della Fiom e dei
sindacati “che non firmano”.
PER UN’OPPOSIZIONE VISIBILE A LIVELLO SOCIALE E POLITICO.
La
manifestazione del 18 febbraio, in questo contesto, si carica di per sé
di un significato straordinario, sul terreno sociale e anche politico.
La partita sulla cosiddetta riforma del mercato del lavoro, vedrà
l’assenza di un contrasto vero nel paese oppure a partire dalla
manifestazione dell’18 finirà la fase della rabbia rassegnata, dal senso
di impotenza con cui è stata subita la più grave controriforma della
previdenza della nostra storia? Se il governo andrà avanti sull’articolo
18, se Monti e Fornero continueranno con la loro protervia di èlites
tecnocratiche sciolte da ogni vincolo democratico, con le loro bugie
profuse a piene mani che si tratti di pontificare sugli “ipergarantiti” a
fronte di centinaia di migliaia di posti di lavoro persi o della
crescita dei salari del 12% per effetto delle “liberalizzazioni”,
crescerà l’opposizione nel paese? La CGIL proclamerà lo sciopero
generale ed un percorso di lotta vero? Il mondo del lavoro, la sinistra
avranno la capacità di mettere in piedi un’iniziativa almeno pari a
quella dei tassisti o degli autotrasportatori? L’iniquità delle
politiche del governo Monti è stata chiara fin dal primo atto, da una
manovra pagata tutta da lavoratori, pensionati, ceti medi. Da sinistra
sono venute critiche, ma non è venuto il segnale necessario a dare il
senso che qualcosa cambiava. Gli appelli reiterati alla costruzione di
percorsi unitari che abbiamo lanciato non hanno dato l’esito che
speravamo, sacrificati alla logica della “parentesi”. Ma questo governo
non può essere una parentesi, perché il vero mandato che ha, quello
della BCE, dell’Europa a dominanza tedesca, è il compimento di un
disegno organico. E’ la risposta alla crisi nel segno dell’ipertrofia
delle politiche che l’hanno causata. E’ una cesura compiuta con ciò che
resta del modello sociale europeo. Il 18 febbraio può essere una scossa
salutare anche a sinistra. Non c’è più tempo, nessun@ resti a casa!
* Segreteria nazionale Prc
domenica 12 febbraio 2012
NESSUN@ RESTI A CASA! LE POSTE IN GIOCO DELLA MANIFESTAZIONE DEL 18 FEBBRAIO.
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