di Francesco Piccioni
su il manifesto del 01/09/2009
Oggi riaprono le scuole. Forse, non tutte, vedremo... Una sola cosa è sicura: ci saranno molti meno docenti e Ata (impiegati e bidelli) e tante classi sovraffollate in più. Difficile persino avere le cifre esatte. Vengono avanzate stime che oscillano tra i 42.000 e i 110.000 insegnanti in meno, da oggi (per gli Ata si va dai 10 ai 15.000). Tutte persone che da anni - in molti casi più di dieci - lavorano con contratti annuali di supplenza. Non stiamo parlando di «giovani» in attesa di trovare la propria strada nella vita, ma di persone spesso già oltre la metà della vita lavorativa media.
Una popolazione che, conoscendo tempi e movenze della politica, non ha neppure atteso il tradizionale suono della campanella per cominciare a organizzare proteste in tutta Italia. Le richieste sono chiare. Le ragioni in difesa di una scuola pubblica di qualità, anche. Forse proprio per questo il governo sembra procedere come un panzer verso lo smantellamento di un'istituzione incaricata di formare cittadini «in grado di leggere, scrivere e far di conto». Cento volte meglio avere sudditi ignoranti ipnotizzati dalle televisioni e una classe dirigente plasmata dalle scuole cattoliche o dalle università private.
Dappertutto, anche ieri, le proteste sono state «presidiate» da ingenti forze di polizia in assetto antisommossa. Una presenza sproporzionata e intimidatoria, a fronte di pacifiche insegnanti, maestre d'asilo, ecc. «Gli agenti non avevano un atteggiamento minaccioso - spiegano per esempio da Catania - ma certo erano così tanti che...». In questa città il sit-in si è trasformato in un corteo dopo che dal provveditorato era stato negato l'ingresso per svolgere un'assemblea.
A Napoli l'iniziativa più clamorosa della giornata. Una cinquantina di precari sono entrati nell'Ufficio scolastico provinciale (Usp, l'ex Provveditorato) nel mentre si stavano completando le procedure di nomina e di immissione in ruolo. Anche qui un numero esagerato di agenti ha cercato di far allontanare i manifestanti, che si sono trattenuti comunque fino alle 17, chiedendo un incontro con il prefetto. Lo stesso direttore dell'ufficio ha espresso comprensione per la protesta, escludendo qualsiasi ipotesi di denuncia nei confronti degli insegnanti. A Benevento, dove da sabato sette docenti - tutte donne - si sono issate sul tetto del Usp, si è avuta una grande manifestazione di solidarietà da parte di altri lavoratori della scuola, famiglie, ecc. Lo striscione agganciato alla balaustra - «Arrampichiamoci tutti» - è già diventato un'indicazione per il movimento di lotta raccolto nel Comitato precari della scuola. Oggi si replica dove già ci si è mossi, mentre entra in gioco anche il «grosso». A Milano è annunciato un presidio sotto l'Usp, con tanto di incatenamento simbolico. Altre iniziative prenderanno corpo in Sardegna. a Bergamo e in cento altre città.
Dal ministero nessun segnale. Non si dice di un'eventuale «retromarcia«, ma persino di instaurare una qualche forma di confronto con i precari e sindacati. Tra questi, peraltro, soltato quelli «di base» (RdB-Cub, Cobas, Sdl) e la Flc Cgil si sono immediatamente schierati al fianco dei precari. «Finora - denuncia Mimmo Pantaleo, segretario dell'Flc - non ci sono state risposte concrete da parte del ministro Gelmini, che invece si diletta a parlar d'altro».
Tra le risposte «concrete», sul fronte governativo (e non solo, purtroppo) viene dato un qualche credito ai cosiddetti «contratti di disponibilità» (vedi ancora qui di fianco). I precari ne parlano malissimo perché li vedono come una sorta di job on call su scala nazionale («uno scambio tra un minimo di salario e un massimo di sfruttamento»). Ma anche perché hanno imparato a diffidare di questo governo quando giura d'aver introdotto e finanziato «nuovi ammortizzatori sociali» di cui i diretti interessati, di solito, non riescono a vedere gli effetti pratici. Per esempio, denunciano da più parti, «non riceviamo più lo stipendio dal 30 giugno (data di scadenza delle supplenze annuali, ndr), ma l'Inps non ha spedito finora nessuna indennità di disoccupazione». Ovvero un ammortizzatore già regolato da leggi esistenti - un diritto, insomma - non un'idea ancor vaga.
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