Tutto il potere ai Soviet! Magari. Non ci sono più i soviet, non c'è più quella spinta propulsiva che faceva muovere le coscienze, che supportava i bisogni dei proletari e che indirizzava i rivoluzionari su una via impervia ma abbastanza certa della vittoria, della propria prevalenza sui poteri spietati che la contrastavano con durezza, con ogni mezzo.
In certi momenti, in questi quasi vent'anni che ci separano dalla caduta del muro di Berlino e dallo sfasciarsi dell'apparato statale e burocratico sovietico e dei suoi paesi satelliti, in alcuni attimi abbiamo ripensato al precario equilibrio che vi era tra le due superpotenze mondiali. Al perché questo equilibrio sussisteva e ci siamo detti: beh, forse non era poi così male. Guardando quanto è accaduto dopo, anche il più serioso dei detrattori del socialismo reale, ci lasci dire che alle guerre calde di questi anni, al dominio mondiale di una nuova scuola reazionaria guidata dagli Stati Uniti e, significativamente, da George W. Bush (icona della destra planetaria), preferivamo il cardiopalma della guerra fredda.
Vi ricordate "Il Dottor Stranamore"? Kubrick fu geniale nel cogliere non tanto le paure dell'umanità per un conflitto atomico dagli esiti apocalittici, e verso il quale ci si è diretti per determinati episodi (la crisi dei missili a Cuba, ad esempio) particolarmente cruciali tra Usa e Urss. Kubrick intese benissimo lo spirito di quella guerra fredda: non un gioco, ovviamente, ma una ironica sorte storica, una nemesi contro gli uomini e le donne del pianeta in nome di un reciproco fronteggiarsi sul piano atomico, sui delicatissimi equilibri politici. Il dissenso di un paese amico di una delle parti poteva portare a reazioni a catena peggiori di quella della fissione nucleare.
Questa la parte, chiamiamola così, "nostalgica" che ci siamo sentiti di rievocare: come vedete non è un nostalgismo per la guerra o per la Russia che il primo maggio faceva bella mostra nelle sue parate dei propri cannoni, dei missili e delle proprie truppe. E' un amarcord, un ricordo di tempi in cui la spudoratezza non aveva ancora prevalso come fondamento generazionale dell'essere politici, del fare politica. Si mentiva, certo. Ma c'era un confine ben delineato anche per la menzogna. Oggi non è più così.
Il grave tempo in cui viviamo è dato dal fatto che un governo come quello americano tenta delle sortite come quelle dell'antrace e delle armi chimiche per impossessarsi di vaste aree del pianeta con il preciso scopo di impedire che il petrolio venga misurato in euro piuttosto che in dollari.
Alcuni studiosi come Noam Chomsky, indubbiamente schierati dalla parte del progressismo anarcoide, affermano però sulla base di approfondite analisi che il dominio imperiale statunitense ha terminato la sua scalata. Ora è in una fase di stallo; fase alla quale seguirà un progressivo declino economico, sociale e di egemonia militare.
Quest'anno ricorre il 90° della presa del Palazzo d'Inverno, della Rivoluzione d'Ottobre. Se qualcuno si aspetta da parte nostra un acritico incensamento per questo evento, o per altri, rimarrà deluso. Noi siamo tra coloro che non rimuovono con abili giochi dialettici o con nuovi schemi revisionistici la storia. Siamo i primi a sottolineare il valore positivo di quella rivoluzione, di quello che si venne chiamando l' "assalto al cielo". Ma siamo anche tra coloro che, grazie anche al fatto di essere nati molti, ma molti anni più tardi, hanno avuto modo di convivere per alcuni decenni con l'esperienza sovietica russa, assaporandone il fascino e la potenza, ma individuandone i limiti.
Nessuno nel 1924 avrebbe potuto presagire cosa sarebbe accaduto dopo la morte di Lenin. Nessuno avrebbe immaginato la torsione autoritaria dello stalinismo e la morte di lì a poco di ogni tentativo di fare dell'Unione Sovietica un esempio per i proletari di ogni paese. Si diede invece corso al "socialismo in un solo paese", contraddicendo quanto proprio Lenin aveva affermato in merito al carattere internazionale della rivoluzione. Le congiunture politico-economico-sociali non hanno aiutato i comunisti russi che lottavano per una successiva fase di espansione della ribellione proletaria al capitale.
Ma è pur vero che una certa esportazione dei valori del comunismo e del socialismo si è avuta: non si può far finta di niente e relegare nel solo stalinismo ogni cosa sia accaduta dopo il 1953, dopo la morte del georgiano di ferro. Quante popolazioni africane si sono sollevate in nome del socialismo e lo hanno fatto proprio perché accanto a loro c'era l'aiuto economico e militare sovietico... Il tutto giocato nello scenario della guerra fredda, certo. Ma pur sempre di evoluzione sociale si è trattato. Molte di queste rivolte si sono arenate nella corruzione del dopo presa del potere.
Il difficile per un rivoluzionario è sempre stato mantenere un continuismo tra il suo essere tale e il suo essere uomo di stato, di governo.
Cuba. Il primo territorio libero dell'America Latina, l'isola ribelle di Martì, l'isola della revolucion vittoriosa di Castro e Guevara. Cuba socialista non avrebbe probabilmente avuto un futuro con una economia pianificata senza la presenza del potere sovietico. Nulla va astratto dal suo contesto, ma proprio in quei contesti va ricercato il motivo delle scelte, degli errori e delle buone riforme operate per la popolazione, per evitare un secondo Batista, una riconversione bordellistica dell'isola caraibica secondo il volere di Washington.
Dunque, quest'anno ricorre il 90° anno della Rivoluzione d'Ottobre. E noi la ricordiamo così, come un grande monumento di evoluzione sociale mondiale, così come ricordiamo la Rivoluzione francese. Tutte queste esperienze hanno dato molto e chiesto molto all'umanità. Assolverle o condannarle serve a poco. Grazie a loro, grazie all'Ottobre sovietico, anche in Italia i comunisti furono spinti a mosse politiche ad oggi irripetibili.
La sensazione che ricordo è quella, comunque, di "protezione" nel senso più nobile del termine. Sino a che ad Est c'era chi contrastava lo strapotere americano, eravamo certi che avremmo potuto far valere i diritti dei più deboli con una qualche speranza in più. Crollato quel mondo, che molti si ostinano a definire come il "vero" comunismo proprio per screditare la sincera lotta per l'uguaglianza che è ancora oggi necessaria, finita quell'esperienza, ci venne addosso anche qualche coccio del muro berlinese e ci fece male.
Dovemmo ricominciare a pensarci, a pensare, a criticarci e a criticare. La "rifondazione comunista" fu questo, è questo. Il capitalismo ha vinto una battaglia, parafrasiamo De Gaulle. Ma non ha affatto vinto la guerra. La guerra contro chi le guerre proprio non le sopporta. La guerra contro tutti coloro che erano a Roma il 20 ottobre, ci sono e resistono oggi contro l'ondata xenofoba montante (e montata). La guerra contro i comunisti, in poche parole. Quella guerra è ancora tutta da combattere perché, ci dice Ivan Della Mea: "Il diritto alla gioia è da inventare".
Marco Sferini
In certi momenti, in questi quasi vent'anni che ci separano dalla caduta del muro di Berlino e dallo sfasciarsi dell'apparato statale e burocratico sovietico e dei suoi paesi satelliti, in alcuni attimi abbiamo ripensato al precario equilibrio che vi era tra le due superpotenze mondiali. Al perché questo equilibrio sussisteva e ci siamo detti: beh, forse non era poi così male. Guardando quanto è accaduto dopo, anche il più serioso dei detrattori del socialismo reale, ci lasci dire che alle guerre calde di questi anni, al dominio mondiale di una nuova scuola reazionaria guidata dagli Stati Uniti e, significativamente, da George W. Bush (icona della destra planetaria), preferivamo il cardiopalma della guerra fredda.
Vi ricordate "Il Dottor Stranamore"? Kubrick fu geniale nel cogliere non tanto le paure dell'umanità per un conflitto atomico dagli esiti apocalittici, e verso il quale ci si è diretti per determinati episodi (la crisi dei missili a Cuba, ad esempio) particolarmente cruciali tra Usa e Urss. Kubrick intese benissimo lo spirito di quella guerra fredda: non un gioco, ovviamente, ma una ironica sorte storica, una nemesi contro gli uomini e le donne del pianeta in nome di un reciproco fronteggiarsi sul piano atomico, sui delicatissimi equilibri politici. Il dissenso di un paese amico di una delle parti poteva portare a reazioni a catena peggiori di quella della fissione nucleare.
Questa la parte, chiamiamola così, "nostalgica" che ci siamo sentiti di rievocare: come vedete non è un nostalgismo per la guerra o per la Russia che il primo maggio faceva bella mostra nelle sue parate dei propri cannoni, dei missili e delle proprie truppe. E' un amarcord, un ricordo di tempi in cui la spudoratezza non aveva ancora prevalso come fondamento generazionale dell'essere politici, del fare politica. Si mentiva, certo. Ma c'era un confine ben delineato anche per la menzogna. Oggi non è più così.
Il grave tempo in cui viviamo è dato dal fatto che un governo come quello americano tenta delle sortite come quelle dell'antrace e delle armi chimiche per impossessarsi di vaste aree del pianeta con il preciso scopo di impedire che il petrolio venga misurato in euro piuttosto che in dollari.
Alcuni studiosi come Noam Chomsky, indubbiamente schierati dalla parte del progressismo anarcoide, affermano però sulla base di approfondite analisi che il dominio imperiale statunitense ha terminato la sua scalata. Ora è in una fase di stallo; fase alla quale seguirà un progressivo declino economico, sociale e di egemonia militare.
Quest'anno ricorre il 90° della presa del Palazzo d'Inverno, della Rivoluzione d'Ottobre. Se qualcuno si aspetta da parte nostra un acritico incensamento per questo evento, o per altri, rimarrà deluso. Noi siamo tra coloro che non rimuovono con abili giochi dialettici o con nuovi schemi revisionistici la storia. Siamo i primi a sottolineare il valore positivo di quella rivoluzione, di quello che si venne chiamando l' "assalto al cielo". Ma siamo anche tra coloro che, grazie anche al fatto di essere nati molti, ma molti anni più tardi, hanno avuto modo di convivere per alcuni decenni con l'esperienza sovietica russa, assaporandone il fascino e la potenza, ma individuandone i limiti.
Nessuno nel 1924 avrebbe potuto presagire cosa sarebbe accaduto dopo la morte di Lenin. Nessuno avrebbe immaginato la torsione autoritaria dello stalinismo e la morte di lì a poco di ogni tentativo di fare dell'Unione Sovietica un esempio per i proletari di ogni paese. Si diede invece corso al "socialismo in un solo paese", contraddicendo quanto proprio Lenin aveva affermato in merito al carattere internazionale della rivoluzione. Le congiunture politico-economico-sociali non hanno aiutato i comunisti russi che lottavano per una successiva fase di espansione della ribellione proletaria al capitale.
Ma è pur vero che una certa esportazione dei valori del comunismo e del socialismo si è avuta: non si può far finta di niente e relegare nel solo stalinismo ogni cosa sia accaduta dopo il 1953, dopo la morte del georgiano di ferro. Quante popolazioni africane si sono sollevate in nome del socialismo e lo hanno fatto proprio perché accanto a loro c'era l'aiuto economico e militare sovietico... Il tutto giocato nello scenario della guerra fredda, certo. Ma pur sempre di evoluzione sociale si è trattato. Molte di queste rivolte si sono arenate nella corruzione del dopo presa del potere.
Il difficile per un rivoluzionario è sempre stato mantenere un continuismo tra il suo essere tale e il suo essere uomo di stato, di governo.
Cuba. Il primo territorio libero dell'America Latina, l'isola ribelle di Martì, l'isola della revolucion vittoriosa di Castro e Guevara. Cuba socialista non avrebbe probabilmente avuto un futuro con una economia pianificata senza la presenza del potere sovietico. Nulla va astratto dal suo contesto, ma proprio in quei contesti va ricercato il motivo delle scelte, degli errori e delle buone riforme operate per la popolazione, per evitare un secondo Batista, una riconversione bordellistica dell'isola caraibica secondo il volere di Washington.
Dunque, quest'anno ricorre il 90° anno della Rivoluzione d'Ottobre. E noi la ricordiamo così, come un grande monumento di evoluzione sociale mondiale, così come ricordiamo la Rivoluzione francese. Tutte queste esperienze hanno dato molto e chiesto molto all'umanità. Assolverle o condannarle serve a poco. Grazie a loro, grazie all'Ottobre sovietico, anche in Italia i comunisti furono spinti a mosse politiche ad oggi irripetibili.
La sensazione che ricordo è quella, comunque, di "protezione" nel senso più nobile del termine. Sino a che ad Est c'era chi contrastava lo strapotere americano, eravamo certi che avremmo potuto far valere i diritti dei più deboli con una qualche speranza in più. Crollato quel mondo, che molti si ostinano a definire come il "vero" comunismo proprio per screditare la sincera lotta per l'uguaglianza che è ancora oggi necessaria, finita quell'esperienza, ci venne addosso anche qualche coccio del muro berlinese e ci fece male.
Dovemmo ricominciare a pensarci, a pensare, a criticarci e a criticare. La "rifondazione comunista" fu questo, è questo. Il capitalismo ha vinto una battaglia, parafrasiamo De Gaulle. Ma non ha affatto vinto la guerra. La guerra contro chi le guerre proprio non le sopporta. La guerra contro tutti coloro che erano a Roma il 20 ottobre, ci sono e resistono oggi contro l'ondata xenofoba montante (e montata). La guerra contro i comunisti, in poche parole. Quella guerra è ancora tutta da combattere perché, ci dice Ivan Della Mea: "Il diritto alla gioia è da inventare".
Marco Sferini
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