Addio a Mario Monicelli, regista, intellettuale e compagno
«Come non è vostra? Chi ci lavora per più di quattordici ore al giorno tutti i giorni per tutta la vita? Chi ci butta il sangue e il sudore? E allora prendetela la fabbrica, è vostra!» Nel 1963 Mario Monicelli gira I compagni, film ambientato nella Torino di fine Ottocento. Vi prego, trovate quel film e guardatelo, o per lo meno andate a cercare il discorso dell’intellettuale – uno splendido Marcello Mastroianni – agli operai della fabbrica tessile. Guardatelo oggi.
E poi cominciate e pensare alla sua attualità. Pensate a Pomigliano. Anche per questo oggi io mi sento triste. Triste e sconvolta per la notizia della morte di Mario Monicelli. Un grande regista. Un compagno. Una mente lucida capace di scandagliare i difetti di questo nostro Paese e di farlo - cosa davvero rara e difficile - con quell’ironia che non troveremo in nessun altro cineasta italiano. La sua filmografia è gigantesca e veramente ha fatto la storia del cinema italiano. Chi non ricorda Guardie e ladri, I soliti ignoti, La grande guerra, L’armata Brancaleone, Amici miei, Il Marchese del Grillo. E ancora: La ragazza con la pistola, Romanzo popolare, Caro Michele, Speriamo che sia femmina. E Le due vite di Mattia Pascal, riduzione cinematografica dell’opera pirandelliana, con uno stupefacente Mastroianni. E poi ancora tanto, tanto altro cinema.
Ho citato solo i titoli più conosciuti e ho ricordato due dei suoi film che più amo e che forse sono molto meno ricordati: I compagni, appunto, e il Mattia Pascal. Ma nella mia mente in questo momento ci sono mille e mille fotogrammi dei suoi film: per esempio l’episodio di Boccaccio 70, un episodio che parlava di poveracci e che una miope distribuzione tagliò dalla copia del film per l’estero. Boccaccio 70 è un film a episodi del ’62. Vi lavorarono, oltre a Monicelli, Fellini (vi ricordate l’episodio del moralista Peppino De Filippo turbato dalle grazie di Anita Ekberg? Il più famoso dei quatto episodi, forse il manifesto del film), De Sica e Visconti. Bene, l’episodio di Monicelli, tratto da un racconto di Calvino, parlava di una coppia di operai alla disperata ricerca di casa. Quando la trovano, dopo mille avventure, non riescono praticamente più a vedersi a causa dei turni di lavoro che non li fanno mai incontrare.
La distribuzione italiana del film, evidentemente pensando che questo episodio che parlava di povertà avrebbe dato una brutta immagine del Paese, decise di tagliare l’episodio di Monicelli dalle copie destinate al mercato estero. La morale della favola? Ovviamente i tre colleghi autori degli altri episodi in segno di protesta non andarono al Festiva di Cannes e la cosa si seppe in tutto il mondo. E c’è un altro film, diciamo minore, certamente meno conosciuto dal grande pubblico, che mi viene in mente: Vogliamo i colonnelli. E’ una pellicola del ’73 con Ugo Tognazzi protagonista, una commedia che riecheggia in chiave ironica il tentativo di golpe Borghese del 1970. Penso che ricordare Monicelli voglia dire ricordare le sue opere.
Non c’è un modo migliore. E non credo che lui avrebbe apprezzato i fiumi di parole che riempiranno ora le pagine dei giornali. Lui che non voleva essere chiamato Maestro (i maestri stanno a scuola…). Lui che fino all’ultimo ha avuto la lucidità di richiamarci all’impegno («Viva voi, viva la vostra forza, viva la classe operaia, viva il lavoro. Dobbiamo costruire una Repubblica in cui ci sia giustizia, uguaglianza, e diritto al lavoro, che sono cose diverse dalla libertà», disse tempo fa rivolto ai giovani). Lui che parlando del suicidio del padre anni addietro disse: «La vita non è sempre degna di essere vissuta; se smette di essere vera e dignitosa non ne vale la pena». Lui non avrebbe apprezzato tante parole. E allora ricordiamolo domani rivendendo un suo film. Ricordiamolo senza parole, ma con le sue immagini. Questo vuol dire ricordare un cineasta. Ciao Mario!
Dal sito www.esserecomunisti.it
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