«Chi dice che vuole andare al governo e fare politiche di sinistra senza
pronunciarsi sul fiscal compact, sta di fatto prendendo in giro il
paese e i lavoratori». Non ricorre a giri di parole, Paolo Ferrero,
quando si tratta di spiegare quella che, secondo lui, è la strada da
imboccare per ricostruire una sinistra degna di questo nome in Italia.
«Si tratta, molto semplicemente, di mettere insieme quelli che sono
contro le politiche di austerità e di chiedere poi agli italiani un voto
per governare sulla base di un programma veramente alternativo, di un
new deal per il paese». Secondo il segretario di Rifondazione Comunista,
una lista o una coalizione «anti Monti» potrebbe aspirare ad una
percentuale a due cifre.
E, quand’anche perdesse le elezioni, sarebbe in grado di incidere
politicamente molto più di quanto non riuscirebbe a fare una sinistra
che si candidi a governare insieme al Partito Democratico. «Non possiamo
rivedere per la terza volta un film già visto, quello di alleanze che
di fatto finiscono per essere una gabbia. Dobbiamo ammettere che il Pci è
riuscito a cambiare l’Italia stando all’opposizione molto più di quanto
non abbiamo fatto noi in passato stando al governo».
Un ruolo centrale, nella riaggregazione di un polo di sinistra e per
il lavoro, potrebbe essere svolto secondo l’ex ministro della
Solidarietà Sociale dalla Fiom, che si è guadagnata negli anni
un’indubbia autorevolezza da spendere in questo senso. Ed è proprio alla
festa della Fiom di Torino, a margine della presentazione del suo
ultimo libro «Pigs! La crisi spiegata a tutti» (DeriveApprodi, 2012),
che Ferrero ha illustrato a Pubblico la sua proposta per l’unità della
sinistra e ha spiegato in cosa si differenzi dalle altre opzioni in
campo, molte delle quali oggetto di confronto e di dibattito nei dieci
giorni di festa metalmeccanica che si sono appena conclusi.
Partiamo dal contesto europeo. Volenti o nolenti, il futuro
politico dell’Italia e di tanti altri paesi dell’Ue sembra essere oggi
ipotecato dal fiscal compact e dalle politiche di bilancio restrittive
che questo comporterà negli anni a venirePer l’Italia il
fiscal compact è un suicidio. Cerchiamo di capire di cosa stiamo
parlando: nei prossimi anni, per vent’anni, ogni anno, il nostro paese
dovrà tagliare 45 miliardi di euro dal debito pubblico. Faccio notare,
per dare un’idea delle implicazioni di questa scelta, che tutto il
sistema sanitario italiano, mazzette e sprechi compresi, costa 130
miliardi di euro all’anno. Una sforbiciata simile significa fare un
massacro dello stato sociale, privatizzare quasi tutto, svendere le
aziende pubbliche che rimangono, a occhio e croce anche vendere l’oro
della Banca d’Italia… Oltre al definitivo smantellamento del welfare,
questo vuol dire far precipitare il paese in una condizione di
recessione e di indebitamento permanente.
Un destino «greco», parrebbe di capire…Magari
più lentamente, molto più lentamente, ma la direzione è quella. Su un
miliardo di aiuti che prende, la Grecia ne spende 900 milioni per
ripagare gli interessi sul debito. Buona notte, dico io… Da una
condizione del genere non si esce più, si cade in una spirale di
recessione e indebitamento. Per questo, quando discutiamo di politica, a
chi promette di andare al governo e di finanziare la sanità, le
pensioni, ecc. va innanzitutto chiesto che posizione assume sul fiscal
compact, se è deciso a rimetterlo veramente in discussione. Altrimenti,
quello che si sta facendo è prendere in giro la gente.
Il riferimento è a un eventuale, futuro governo di centrosinistra?Certo,
e anche a tutti quelli che, da sinistra, insistono nel riproporre lo
schema di alleanze che abbiamo già sperimentato in passato e che hanno
dimostrato di essere delle gabbie.
Ma i governi di centrosinistra del passato sono stati
sotenuti anche da Rifondazione Comunista, e lei stesso ha fatto parte di
uno di quei governi in qualità di ministro…Appunto, so di
cosa sto parlando. Noi ci abbiamo provato, ma ci siamo trovati a
sbattere la faccia contro il fatto che eravamo nella stessa maggioranza
parlamentare con forze a noi totalmente estranee, che rappresentavano
interessi economici e finanziari ben precisi. Un aneddoto può illustrare
bene quello che sto dicendo. Quando ero alla Solidarietà Sociale avevo
fatto un provvedimento per bloccare gli sfratti degli anziani
ultrasettantenni e delle famiglie che avevano al loro interno portatori
di handicap. Era un cosa di semplice buon senso, che mi aveva guadaganto
il plauso di una realtà come la Caritas, non certo un’organizzazione
rivoluzionaria. Bene, votiamo in consiglio dei ministri: tutti
d’accordo. Andiamo al Senato, e manca la maggioranza. Questo perché Dini
e una manciata di altri senatori, molti dei quali prendevano soldi
dagli immobiliaristi anche per le loro campagne elettorali, stranamente
non si erano presentati in aula. Tre mesi dopo, ci riprovo, e la cosa si
ripete tale e quale. Sa come sono riuscito a far passare quel
provvedimento? Telefonando ad Alemanno, della destra sociale, e
chiedendogli se non fosse d’accordo con il merito di quella proposta che
non aveva altro obiettivo se non quello di una tutela immediata degli
interessi di categorie molto deboli. È dovuto intervenire Storace, che
era capogruppo di An, a favore del provvedimento. Così è passato.
Altrimenti, contando sulla mia, di maggioranza, non sarei riuscito a
farlo passare.
Altri, tuttavia, come ad esempio Vendola, pensano che, se non
ci si vuole condannare ad un ruolo meramente testimoniale, non si può
prescindere da un rapporto di qualche tipo con il Pd e con i suoi
elettori.Guardi, io ho 51 anni e penso che si può anche
smettere di fare politica. Però, soprattutto, bisogna smetterla di
prendere in giro la gente. Se uno dice che va al governo con il Pd,
stante il fiscal compact, e che farà politiche redistributive, sta
semplicemente mentendo. Io dico che ci abbiamo già provato a governare
col Pd e a fare delle politiche di sinistra. Ma davvero pensiamo di
poter fare qualcosa di buono per i lavoratori e le lavoratrici italiani
se andiamo al governo con Matteo Renzi? E Renzi, nel Pd, non è un
fenomeno isolato… Sono in tanti a pensarla come lui, a ritenere che
bigogna proseguire con l’agenda Monti e che bisogna stare con Marchionne
«senza se e senza ma», come disse il sindaco di Firenze nei mesi dei
referendum di Pomigliano e Mirafiori.
Ma la stessa Fiom, che pure non è e non vuole diventare un
partito politico, in questi ultimi giorni ha insistito sul fatto che
bisogna rimettere al centro la rappresentanza politica del lavoro senza
rinunciare ad incidere nei processi reali. E questo, nell’ottica degli
stessi metalmeccanici della Cgil, implica di necessità un confronto col
Pd, o per lo meno con la sua componente più antiliberista e meno
allineata a Monti…Rispetto la posizione della Fiom, ma noi
pensiamo invece che la strada sia un’altra. Si tratta di una strada
piuttosto semplice, oltretutto. La cosa da fare è banale. Bisognerebbe
mettere insieme quelli che sono contro il governo Monti da sinistra:
dall’Italia dei Valori, a Sinistra Ecologia e Libertà, alla Federazione
della Sinistra, passando per tutte quelle persone, che sono la
maggioranza, che pur essendo di sinistra non hanno alcuna tessera in
tasca. Includendo ad esempio anche pezzi di mondo cattolico, che non è
per forza tutto sulle posizioni oscurantiste di Ratzinger.
Una sorta di Syriza italiana, come lei ha più volte auspicato?Certo.
Nel resto d’Europa lo stanno già facendo. Lo stanno facendo in
Portogallo con il Bloco de Esquerda, in Spagna con Izquierda Unida, in
Germania con la Linke, in Grecia con Syriza e in Francia con il Front de
Gauche. Noi siamo in ritardo. Perché la questione non è se questa
Europa regge o meno. È sicuro che così non regge, perché l’area euro non
è semplicemente «a due velocità», è un’area in cui c’è una
divaricazione fra paesi che sono ricchi e diventano sempre più ricchi e
paesi che sono poveri e diventano sempre più poveri. Il punto è capire
se le politiche europee saranno messe in discussione da destra o da
sinistra. Se non andiamo rapidamente a questa ricomposizione delle forze
del lavoro, il rischio è che del sentimento antieuropeo si avvantaggino
forze neonaziste come Alba Dorata. La Fiom lo capisco che è un
sindacato, ma se usasse l’autorevolezza che si è guadagnata sul campo
per favorire questo processo di riaggregazione ritengo che svolgerebbe
un servizio utile in primo luogo ai lavoratori che in questi anni ha
difeso meglio e più di altri.
E come risponde a chi le dice che una coalizione, o una lista
«anti Monti» potrebbe essere un’iniziativa lodevole ma incapace di
incidere? Molti a sinistra pensano che non si possano cambiare le cose
senza andare al governo…Tanto per cominciare, una lista del
genere, una coalizione che proponga delle politiche veramente
alternative, secondo me, potrebbe aspirare tranquillamente a percentuali
a due cifre. Ma, soprattutto, dobbiamo tenere ben ferma in mente una
cosa. Si possono anche perdere le elezioni, ma se si costruisce una
nuova entità che coerentemente si batte al fianco dei lavoratori e
contro le politiche di austerità, esattamente come hanno fatto i
metalmeccanici della Cgil negli ultimi anni, si può «incidere» e contare
molto anche stando all’opposizione. Del resto, è un fatto che il
Partito Comunista, in passato, sia riuscito a cambiare il paese stando
in minoranza molto più di quanto non siamo riusciti a fare noi andando
al governo. Se invece, per la terza volta, riproiettiamo un film già
visto, andiamo al governo col Pd e poi emerge che non riusciamo ad
ottenere un cambiamento concreto nella condizione di vita delle persone,
è facile che il disagio che c’è venga intercettato da un Grillo o,
addirittura, dall’estrema destra. Cioè la gente magari finisce per
esprimere una protesta rabbiosa, di pancia, «manda a stendere», per così
dire, la classe politica, ma questo mandare a stendere non produce un
cambiamento della società, perché non produce coscienza, non produce
forza e organizzazione dal basso. Per certi versi, la situazione europea
è oggi simile a quella degli anni ’30. Non è più tempo di giochi
tattici.
Da pubblicogiornale.it