venerdì 28 ottobre 2011
Congresso di Circolo
Gli iscritti e i simpatizzanti sono invitati a partecipare
lunedì 17 ottobre 2011
Mezzo milione di indignati, ostaggio dei teppisti
Sono arrivati a Roma in mezzo milione, almeno. La dispersione in tanti rivoli, dovuta all’esito del corteo, rivelava ancora di più la portata dei manifestanti. Non doveva essere una festa.
L’indignazione, di per sé, non rimanda a dinamiche ludiche ma alla crudezza della crisi e della polverizzazione sociale che produce. Ma le messe in scena di guerriglia, le colonne spettrali di fumo, le carcasse annerite di automobili, spesso non di lusso, restate impigliate al passaggio di pezzi di corteo lasciano una domanda inevasa: di chi è un corteo? Domanda che diventa ancora più urlata se sotto le colonne di fumo nero si sente la gente che strilla “fascisti, smettetela, via dal corteo!” a giovanotti che si prendono molto sul serio mentre, avvolti dai cappucci d’ordinanza, danno fuoco a cassonetti di immondizia. Davvero è sufficiente etichettarli come infiltrati? Non doveva essere una festa ma doveva essere una presa di parola di massa tant’è che non s’era costruito un palco centrale per dare modo di attivare sei speak corner nella grande S.Giovanni dove improvvisare assemblee all’aperto e, magari, mettere le tende - qui e là, lungo il percorso, per discutere di come rendere permanente una mobilitazione che altrimenti sarebbe stata solo una passeggiata innocua tra i Fori o il grottesco carnevale del riot. Tra il nero del fumo sbuca un grappolo di palloncini colorati che regge una scritta “Il fine non giustifica i mezzi” e si “suicida” lontano, altissimo, nel faticoso tramonto romano.
Che fosse una babele di linguaggi s’era capito, già in fase di preparazione dall’articolazione del coordinamento nazionale - consapevole sia di non rappresentare l’intero corteo sia di non potere e volere fare “sintesi” - e dalla pluralità di voci che si sono udite per le strade di Roma finché il rumore delle cariche non s’è fatto colonna sonora dell’indignazione. Ma dentro la babele si riusciva a leggere che «finalmente - diceva Franco Russo - tutti conoscono il volto dei poteri forti: quello di Draghi e di Trichet, della Bce, oltre che del governo». Fino ad allora c’era chi marciava a ritmo di samba, chi urlava “vergogna”, chi “no alla violenza”, chi si acchittava il bavero nero come la felpa e il cappuccio, chi prometteva scioperi e chi rivendicava servizi e welfare per tutti e nessuna Tav. C’era, in strada, chi sogna “10, 100, 1000 Tahir”, chi lo ha scritto anche in arabo, chi portava la voce di territori martoriati o generazioni martoriate dalla macelleria sociale. C’erano precari di ogni tipo e di ogni età. «Ho 29 anni e sto in un call center come tutti quelli della mia generazione», dice l’aquilano Paolo e, quando gli chiedo della sua città si limita a dire che sarebbe «la stessa intervista di due anni fa». «Noi siamo operatori sociali e cooperative - spiega Roberto Latella del Social pride romano - quel pezzo di lavoro precario che opera tra i soggetti più colpiti dalla crisi, il nostro settore è alle prese con tagli del 50%». «L’indignazione c’è perché il profitto viene prima delle persone - dice Simona Ricotti, No Coke di Civitavecchia - noi abbiamo deciso che non deleghiamo più il nostro futuro». Lo avrebbe detto anche da un camion di S.Giovanni, Simona, se solo avesse potuto e non fosse rimasta incastrata tra il riot e la reazione delle polizie impazzite. Per la prima volta a memoria di manifestante i blindati con gli idranti si sono messi a scorazzare a cinquanta all’ora per la storica piazza finale delle grandi manifestazioni. Solo il coraggio di un prete di S.Giovanni, che apre i portoni ai fuggiaschi, riduce il rischio di un massacro “genovese”. Mentre i blocchi neri e quelli blu continuano a fronteggiarsi, il grosso del corteo riesce a svicolare verso il Circo Massimo, poi giù alla Piramide, poi verso il centro per tornare ai pullman. Gli studenti tornano verso la Sapienza da dove erano partiti in mattinata. Notizie di scaramucce si inseguono fino a sera, incerto il bilancio dei feriti mentre arrivano voci di rastrellamenti tra chi torna a casa con l’aria losca. Tutto da scrivere quello politico.
«Sto marciando verso Piazza Re di Roma non so nemmeno perché - dice Raffaella Bolini dell’Arci che ha preso parte al comitato promotore - il punto è che era una giornata per riprendersi le piazze, potente e bellissima, ma è stata colpita da pratiche di segno opposto ma convergenti nel togliere spazio a mezzo milione di persone. Ciascuno avrebbe potuto esprimersi nei modi che riteneva opportuni, ma una minoranza ha negato questa possibilità a decine di migliaia di manifestanti e anche la polizia ha perso la testa. Ma a casa non si torna». «Il punto è che mezzo milione di persone è sceso in piazza contro la Bce e il governo - dice anche Paolo Ferrero, segretario del Prc - ma la manifestazione è stata vittima sacrificale di qualche incappucciato e di una gestione assurda dell’ordine pubblico». Anche i giuristi democratici parleranno in serata di un corteo che «sembrava preso in ostaggio». «Servono questi gesti?» si domanda in piazza S.Giovanni, Paolo Beni presidente dell’Arci mentre i Cobas e il gruppo di contatto provano a stabilire un cordone per difendere il corteo dalle modalità da stadio.
«Non è che l’inizio - dice anche Alfio Nicotra, di Rifondazione comunista - ma dobbiamo capire insieme come possa davvero aprirsi lo spazio pubblico che tutta questa gente reclama».
da Liberazione del 16/10/2011
martedì 11 ottobre 2011
Seminario gramsciano
Ricordiamo che venerdì Venerdì 14 ottobre dalle ore 17.30 alle 19.30 si terrà il III Incontro del seminario gramsciano:
Giuseppe Prestipino
Centralismo democratico, burocratico, personalistico
Circolo del PRC “Benedetti Michelangeli”, Via A.Volta, n.1, S. Marinella (Roma).
Simpatizzanti e iscritti sono invitati a partecipare
Conclusa la settimana di comemmorazione trentennale alluvione.
(Riceviamo e pubblichiamo)
Le associazioni e gli enti organizzatori della settimana di commemorazione del trentennale dell'alluvione del 1981 esprimono la loro soddisfazione per l'esito complessivo dell' iniziativa. Si ringraziano i cittadini che hanno partecipato e l'amministrazione comunale per il suo sostegno e patrocinio.
La settimana ha costituito un momento di riflessione per l'intera comunità: per coloro che hanno vissuto quella tragica esperienza e la ricordano e anche per coloro che ancora non erano nati o non abitavano a S. Marinella.
Le escursioni hanno visto la partecipazione attenta e interessata degli studenti (e ancora e' previsto un incontro con le scuole, sempre in tema della sicurezza, a cura della Protezione Civile ProPyrgi).
Il suggestivo spettacolo di sabato 1 ottobre curato dall'ass. "Le voci" ha commosso e coinvolto il pubblico con la forza delle immagini, dei suoni, la profondità delle parole e testimonianze raccontate. Le grandi alluvioni della storia italiana (Vajont, Firenze...) sono state collegata a quella di S. Marinella, più piccola ma certo non meno tragica.
Il convegno di domenica 2 ottobre ha invece illustrato come i fossi che solcano il nostro territorio, con cui noi conviviamo, siano essenzialmente percepiti come realtà malsane e sporche (discariche o fogne a cielo aperto), spazi sottratti all'urbanizzazione, corpi estranei da ignorare, tombare o chiudere tra alti argini di cemento. La loro pericolosità è percepita ma poco si fa per attenuare il rischio.
Per prima cosa bisognerebbe comprendere che la presenza dei fossi non può essere semplicemente dimenticata perchè essi sono una componente costitutiva del nostro territorio: e' necessario invece conoscerne la natura, sapere dove scorrono, qual'è il loro alveo potenziale in caso di piena, quali specie vi possono vivere. Preservarne la naturalità, cioè eliminare restringimenti ed ostruzioni al loro corso, lasciare degli spazi di esondazione controllata e la foce sgombra, sarebbe l'approccio migliore per la sicurezza di beni e persone. Sappiamo ormai che creare canali di cemento tra argini artificiali (sui quali si addossano magazzini, palazzine, attività artigianali) e' proprio la strada migliore per aumentare il fattore di rischio: l'acqua che scorre in rettilineo aumenta la sua velocità e l'impermeabilità delle aree adiacenti alle rive non fa che espandere la superficie interessata alla possibile esondazione per via del mancato assorbimento del terreno. Dragare e cementificare il letto del fosso ne uccide infine le forme di vita.
I fossi nostrani, sebbene per larga parte tombati, presentano ancora possibilità di intervento per il recupero della loro naturalità, sia a monte che nella foce, persino rispetto l'habitat faunistico naturale e la pulizia delle loro acque, mentre andranno evitate deviazioni, restringimenti o peggio urbanizzazioni alla foce.
Sappiamo che il rischio non può mai essere del tutto annullato ma può indubbiamente essere attenuato; recuperando il fosso come parte integrante della vita e del panorama urbano, prevedendo parchi o piste ciclabili lungo i suoi argini e persino attività escursionistiche di risalita si potrebbero inoltre sfruttare i finanziamenti europei per le Zps (Zone a protezione speciale) e trovare in questo modo risorse per lavorare sulla bonifica ed il recupero dei fossi.
Tutto questo richiede un'idea di pianificazione del territorio e di gestione trasparente e condivisa, di partecipazione attiva della cittadinanza e di comunione di intenti da parte delle Istituzioni, delegate a tutelare e migliorare la qualità della vita di chi abita il nostro paese, ma è proprio questa idea di pianificazione a trovare scarsa eco nell'amministrazione della città. Per questo il comitato promotore rilancia il progetto "FossiPartecipati", già avviato dalla Provincia di Roma, che prevede la costruzione di tavoli tecnici con enti e le associazioni produttive che operano nel nostro territorio per la Riqualificazione Fluviale ed il rispetto delle normative vigenti.
Comitato 2 ottobre